ANNO 14 n° 120
Peperino&co. Macchina santa Rosa, sarà vera ''Gloria''?
>>>>> di Andrea Bentivegna <<<<<
31/01/2015 - 02:01

''Peperino&Co.'' è la nuova rubrica di ViterboNews24 che tratterà di storia e arte viterbese. Curata da Andrea Bentivegna, trent'anni, laureato in architettura e già autore del blog settimanale della scorsa estate ''Un viterbese a New York'', diventerà l'appuntamento fisso del sabato.

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Inaugurare una nuova rubrica che si occupa di architettura e storia di Viterbo con un articolo sul recente, in parte discusso, concorso per la nuova Macchina di Santa Rosa sarà forse un suicidio mediatico che potrebbe permettermi di stabilire un poco invidiabile record per la più breve permanenza sulle colonne di questo giornale.

Eppure non si può non parlarne, questa occasione è per la città ben più di un semplice concorso, si va al di là infatti dell’aspetto progettuale, per esplorare piuttosto l’antropologia e la religiosità di una comunità intera attraverso la scelta di ciò che, più di ogni altro simbolo, bandiera o motto, la rappresenterà per il prossimo quinquennio.

Non si tratta, a ben guardare, di architettura, sebbene sia richiesta ai partecipanti una necessaria capacità tecnica, ma piuttosto di una scenografia: un’effimera, gigantesca, scenografia urbana trasportabile a spalla. Ho utilizzato questa definizione perché in effetti la macchina deve coinvolgere ed emozionare lo spettatore (non a caso iniziò ad esser chiamata così in riferimento alle stupefacenti macchine del teatro rinascimentale), con una vocazione allo stesso tempo urbana ed effimera in quanto in movimento tra gli antichi edifici del centro giacché, vale la pena ricordarlo, per bella che sia, senza i facchini che la trasportano e quelle vie attraverso le quali ''cammina''ci troveremmo a parlare solo di un oggetto piuttosto banale, non diverso da un traliccio finemente adornato. In un’epoca in cui l’architettura ha generalmente perso ogni interesse per la decorazione, la modanatura e la propria componente artigianale, in cui i progetti si assomigliano tra loro anche ai due capi del pianeta, in una realtà cioè in cui l’attenzione per il contesto, il genius loci, sono ormai dimenticati questo concorso e i progetti che vi hanno partecipato ci offrono una visione alternativa in cui la ''viterbesità'' torna ad essere un valore aggiunto e in cui i simboli, le sculture, i particolari sono tornati ad essere protagonisti ricordandoci la bellezza del nostro passato e l’importanza di custodirlo.

Una tendenza che sembra in questo concorso ancor più evidente se confrontata con i progetti di sei anni fa e forse comprensibile se si pensa che l’ultimo modello, ''Fiore del Cielo'', si proponeva come un progetto avveniristico e, storicamente, guardando ai precedenti concorsi, è capitato di frequente che ad una macchina di questo tipo ne succedesse una che si richiamava maggiormente a tradizione e forme del passato.

La creazione di Arturo Vittori, ad esempio, ebbe il merito di innalzare l’asticella elaborando un progetto di una qualità tecnica che non si era mai vista prima e questo ha fatto sì che nell’edizione appena andata in archivio siano stati presentati progetti molto ben fatti, illustrati con bozzetti ed elaborati di altissima professionalità. Tra i nomi dei partecipanti spiccano tantissimi professionisti, viterbesi e non, ma mi piace anche sottolineare come fossero ben quattro i partecipanti che, in passato, avevano già avuto l’onore di realizzare una Macchina, un numero mai così alto, come, del resto, rilevante è stata la partecipazione di giovani progettisti, alcuni al fianco dei propri genitori, quasi a voler continuare una tradizione di famiglia, a testimonianza di come questa tradizione millenaria sia ancora viva e sentitissima.

Così come è avvenuto per ogni concorso del passato quello di quest’anno è stata un’occasione per far evolvere, ancora una volta, il significato estetico di Macchina di Santa Rosa e non mi riferisco solo al progetto vincitore, ma a tutti i partecipanti.

Era il 1967 quando Zucchi con il suo celebre ''Volo d’Angeli'' rivoluzionò una tradizione definendo la macchina nell’accezione in cui oggi la conosciamo: non più solo un campanile ma una vera e propria scultura di trenta metri che culmina con la statua della Santa (e si perché ad esempio, sino ad allora, le macchine culminavano con un ciborio contenente l’immagine della patrona). Da lì in poi, edizione dopo edizione, la forma si è arricchita in un costante alternarsi tra riscoperta ed innovazione.

Faccio alcuni esempi, le sculture, che in passato erano solo decorative, sono ormai protagoniste di gran parte dei progetti e per alcuni di essi sono le macchine stesse delle sculture come la ''Sinfonia d’Archi'' di Russo. Oppure un altro elemento, un particolare, solo apparentemente marginale, che è ormai entrato a far parte, in epoca recente, di tutte le macchine e che fu introdotto con Ali di Luce da Raffaele Ascenzi: le scritte. Dal celebre motto''Non metuens verbum leo sum qui signo Viterbum'' sembra essere diventata consuetudine di quasi tutti i progetti quella di proporre una iscrizione o un acronimo sul basamento. Non si tratta certo di ''copiare'' ma di confrontarsi con una tradizione e con il suo lessico evolvendolo di volta in volta in qualcosa di inedito ed originale rimanendo tuttavia all’interno di una storia che coincide poi con quella della città.

''Gloria'', l’ultima nata, farà lo stesso. Il progetto vincitore riscopre le forme gotiche, ispirandosi alla preziosa urna che protegge il cuore della patrona, riproponendole nelle nicchie che contengono gli angeli: era dai tempi di “Una Rosa per il Duemila” di Andreoli, Cappabianca e Cesarini, che mancavano, e ci riportano alla memoria alcune macchine di un passato lontano come quelle Papini.

Il progetto di Ascenzi affascina per ricchezza di particolari e attenzione alla tradizione, riproponendo molte citazioni come, tra le più affascinanti, quella degli alti candelieri che decoreranno la base che sono un elemento che si è perduto nel corso del tempo e che viene riproposto e sintetizzato in un disegno del tutto originale: la forma triangolare, per fare un altro esempio, è assolutamente inedita ed osservata in pianta sembra rivelare addirittura suggestioni borrominiane che rimandano al capolavoro barocco di Sant’Ivo alla Sapienza.

Insomma al di là delle preferenze e dei gusti, assolutamente soggettivi e legittimi, al netto degli altri progetti che hanno partecipato, alcuni dei quali sono stati davvero notevoli e meritevoli di vincere ma che comunque contribuiranno alla storia di questa tradizione, possiamo affermare che ''Gloria'' sarà una macchina degna del nome che la consegnerà alla storia, il che sarà una vittoria per Viterbo.





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